Questa settimana si celebra la Giornata Internazionale della Cura e del Sostegno, istituita nel 2023 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite con l’intento di riconoscere e rendere visibile il lavoro essenziale che milioni di persone in tutto il mondo — in gran parte donne — svolgono quotidianamente assistendo e accompagnando, in modo costante e silenzioso, coloro che ne hanno bisogno.
La cura costituisce una parte fondamentale ma spesso invisibile della struttura sociale e rappresenta il tempo, l’energia, i valori e l’impegno dedicati affinché le persone che necessitano di aiuto possano esercitare autonomia e dignità, ricevendo le migliori condizioni di salute e benessere possibili. È giusto ricordare che questo tempo e questa energia comportano anche costi significativi, che fino a oggi sono stati sostenuti principalmente — e in primo luogo — dalle persone, dalle famiglie o dalle reti di vicinato che prestano assistenza. Solo di recente tali oneri vengono parzialmente assunti dalle istituzioni pubbliche dedicate al benessere sociale.
Da tempo si parla della profonda crisi della cura che attraversa il nostro sistema di protezione della dipendenza, senza che questo — né altri sistemi dei Paesi del nostro contesto — sia riuscito a risolvere in modo adeguato come accogliere e finanziare, direttamente o indirettamente, i costi necessari per prendersi cura in modo appropriato dei nostri cari (che significa anche prenderci cura di noi stessi come collettività). Finora, tali costi sono stati assunti prevalentemente nella sfera privata e familiare.
Riconoscere l’enorme contributo e la generazione di capitale sociale che derivano dalle persone che si prendono cura degli altri è una questione che, sebbene possa essere osservata da molteplici prospettive, richiede sempre di guardare attraverso lo stesso prisma: quello della giustizia. Parliamo della giustizia che consiste nel prendersi cura di chi cura, affinché l’atto del prendersi cura non diventi una condanna futura alla dipendenza, e della giustizia che esige il riconoscimento e la restituzione di quel capitale sociale di cui tutta la società beneficia. In entrambi i casi, si tratta di valorizzare la cura e chi la esercita: le persone che si prendono cura all’interno della famiglia, del vicinato e della comunità, i professionisti della cura e le organizzazioni e strutture in cui tale sostegno si realizza.
In questa direzione, le Nazioni Unite propongono che il riconoscimento e la visibilità di tali attività servano ad avanzare verso una società consapevole del valore della cura, nella quale questa diventi un elemento costitutivo e identitario. Si tratta di un concetto che va oltre l’essere semplicemente “una società che si prende cura”: propone un paradigma in cui la cura venga intesa come bene pubblico globale, come responsabilità condivisa tra persone, famiglie, comunità, istituzioni e Stati, e come elemento cardine per lo sviluppo e il progresso delle nostre società.
Verso una società della cura
Una società della cura è un modello di sviluppo che pone la sostenibilità della vita e del benessere comune al centro. Riconosce che la cura — delle persone, dell’ambiente e di sé stessi — è la base di ogni economia e di ogni convivenza sociale e democratica. Implica il passaggio da una responsabilità privata e prevalentemente femminile della cura a una responsabilità collettiva, con corresponsabilità effettiva tra Stato, imprese, comunità, famiglie e individui.
I principi che definiscono una società della cura dovrebbero includere:
- Centralità della cura: la cura è un diritto umano e un bene pubblico, non un sacrificio privato.
- Corresponsabilità: redistribuire compiti, responsabilità e tempi tra donne e uomini, famiglie, istituzioni e mercato.
- Investimento: considerare la cura come un investimento per ottenere produttività, efficienza e crescita inclusiva.
- Servizi pubblici: garantire accesso universale e di qualità al sostegno all’infanzia, alla salute e agli anziani, e a tutto ciò che ostacola la realizzazione dei progetti di vita delle persone.
Come spesso accade, è più facile definire cosa fare che individuare chiaramente come farlo. Tuttavia, ciò che sembra indicarci la via del cambiamento verso una società della cura riguarda il divario esistente oggi tra le attitudini prevalentemente associate alla cura (femminilizzata, privata, non produttiva) e quelle che sarebbero proprie di una società che ha naturalizzato la cura come valore primario.
Alcune azioni concrete che, nel loro insieme, possono sostenere questa transizione — da una concezione della cura come responsabilità privata e femminile a una come responsabilità e anche piacere individuale e collettivo che ci unisce tutti — includono:
- Politiche pubbliche: rafforzare i diritti a ricevere cure e sostegni di qualità a carattere universale e sostenere le persone, le organizzazioni e le istituzioni che le forniscono.
- Strategie economiche: riconoscere la cura come investimento e integrarla nelle strategie di sviluppo economico e sociale, nei piani settoriali e nei piani di sostenibilità, affinché il capitale generato dalla cura venga reinvestito nella creazione di occupazione, nella formazione e professionalizzazione dei caregiver e nella costruzione di sistemi di protezione che favoriscano lo sviluppo e il benessere economico.
- Ruolo del settore privato e dell’innovazione: gli attori privati possono assumersi la loro parte di responsabilità implementando politiche di professionalizzazione e miglioramento delle condizioni lavorative, in un contesto in cui le nuove tecnologie consentono una profonda ottimizzazione e riutilizzo delle risorse. Inoltre, attraverso la collaborazione pubblico-privata, si possono sostenere iniziative di economia sociale come le cooperative di cura a livello comunitario.
La tecnologia come catalizzatore e acceleratore del cambiamento verso una società della cura
In questa transizione verso una società che valorizza la cura e la pone al centro della propria realtà culturale e strutturale, la tecnologia può — e deve — svolgere un ruolo essenziale: favorendo ciascuno degli elementi citati, ottimizzando le risorse e il capitale generato e investito nella cura, e agendo come amplificatore delle qualità autenticamente umane, non come loro sostituto.
Oggi molte innovazioni e strumenti tecnologici stanno già contribuendo in questa direzione e rappresentano un supporto significativo per il settore dell’assistenza e per le persone che vi operano:
- Le applicazioni di gestione e le piattaforme collaborative consentono a famiglie e professionisti di coordinare calendari, condividere aggiornamenti sullo stato della persona, gestire storici di terapie o trovare risorse di sollievo nella comunità.
- La telemedicina ha dimostrato il proprio valore riducendo gli spostamenti inutili verso centri sanitari o specialisti — un sollievo importante per le persone con mobilità ridotta e per i loro caregiver. Facilita il monitoraggio, le visite di routine e la risoluzione dei dubbi senza lo stress del viaggio.
- I robot assistivi stanno iniziando a mostrare il loro potenziale, non solo nelle attività fisiche più impegnative (come sollevare o mobilizzare una persona), ma anche come strumenti di supporto cognitivo e relazionale: possono guidare esercizi di memoria, contrastare la solitudine e mettere in contatto le persone anziane con i loro cari.
- Le piattaforme di e-learning e le reti di supporto digitale sono fondamentali per migliorare la capacità di prendersi cura e di auto-curarsi, offrendo formazione ai caregiver informali su tecniche specifiche e fornendo supporto per gestire lo stress e la fatica emotiva, riducendo l’isolamento e favorendo percorsi di professionalizzazione.
Come si può osservare, questi strumenti non solo semplificano la gestione e l’organizzazione delle cure, ma sostengono anche aspetti fondamentali per il benessere di chi si prende cura e per la qualità stessa dell’assistenza.
Il principale successo della Care Tech sarà quello di liberare tempo ai caregiver, affinché possano dedicarlo al vero accompagnamento umano.
